sabato 26 febbraio 2011

Crisi tunisina e libica

Filo diretto Pantelleria - Tunisi -Tripoli
26 febbraio 2011. La Casbah e il ministero dell'Interno, i luoghi simbolo della rivolta tunisina, ieri sono tornati ad infiammarsi oggi con decine di migliaia di dimostranti -''oltre 100mila'' secondo fonti di polizia- che chiedono ancora le dimissioni del governo di transizione guidato da Mohammed Ghannouchi, nella piu' grande manifestazione di protesta da settimane a Tunisi. Mentre l'esecutivo ha reso noto che le elezioni si terranno ''al piu' tardi a meta' luglio''. Fin dal primo pomeriggio nella piazza della Casbah si sono radunate migliaia di persone davanti alla sede del governo di transizione, in quello che e' stato per giorni teatro di ininterrotte e drammatiche proteste fino alla fine del mese scorso, con dimostranti giunti da tutto il Paese per chiedere la fine dal governo di unita' nazionale. Dopo l'estromissione dall'esecutivo dei ministri legati all'ex regime di Ben Ali ormai quasi un mese fa, ed un colpo di coda delle forze di sicurezza che hanno disperso con vigore (e diversi feriti) una delle ultime manifestazioni, le proteste sono rimaste costanti ma contenute, sebbene la situazione di instabilita' nel Paese sia stata caratterizzata da numerosi episodi di violenza e criminalita'.
La voce della protesta si e' fatta piu' grossa fino a rievocare scene di diverse settimane fa nella prima - inattesa - tra le rivolte che hanno poi infiammato tutta l'area: cosi' la gente e' tornata anche lungo avenue Bourghiba e davanti al ministero dell'Interno, lo stesso luogo dove si riunirono migliaia e migliaia di persone al grido di ''via Ben Ali'' nella grande manifestazione del 14 gennaio che porto' davvero alla caduta del dittatore.
E sul viale sono tornati anche i lacrimogeni e gli spari in aria per disperdere la folla, in serata si sono udite anche raffiche di colpi di armi automatiche e nei pressi del ministero dell'Interno sono stati appiccati almeno tre piccoli incendi. Contemporaneamente, quasi fosse un vero e proprio 'botta e risposta', il governo ha diffuso un comunicato in cui annuncia che elezioni si terranno nel Paese ''a meta' luglio al piu' tardi), senza tuttavia specificare se si tratti di legislative o presidenziali. E, ancora, in serata l'esecutivo guidato da Mohammed Ghannouchi (che fu premier anche dell'ex presidente Ben Ali) ha comunicato l'approvazione di un progetto di decreto legge con il quale si dispone la confisca dei beni, mobili e immobili, di persone legate al regime del deposto rais: la lista comprende, per ora, 110 persone tra le quali molte legate alle famiglie Ben Ali e Trabelsi, la detestata famiglia della moglie Leila.
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Sono ancora bloccati alla frontiera tra Libia e Tunisia i 150 dipendenti, 10 italiani e gli altri di varie nazionalita', della Bonatti spa che da ieri mattina aspettano di poter passare il confine per raggiungere, con pullman tunisini noleggiati dall'azienda bresciana, l'aeroporto di Dijerba dove li attende un volo charter.
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E' decollato poco fa da Pisa un C-130 dell'Aeronautica militare diretto in Libia, presumibilmente ad Amal, la localita' dove sono rimasti bloccati alcuni lavoratori italiani che sono ormai senza viveri e sarebbero stati anche derubati. Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, facendo riferimento a questo gruppo di "circa 25 connazionali" ha ieri spiegato come siano andati a vuoto i due tentativi di riportarli a casa in aereo e che si sarebbe provato oggi via mare. Un'opzione, secondo quanto si e' appreso, che resta in piedi: a questo riguardo, al largo del porto di Bengasi staziona il cacciatorpediniere Mimbelli.
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"Tutto l'esercito libico deve unirsi alla rivolta, non c'e' nulla da aspettare". E' quanto ha affermato l'ex ministro dell'Interno libico, Abdel Fattah Yunis, in un'intervista concessa alla tv 'al-Arabiya' da Bengasi, dove si trova dopo aver annunciato di essere passato dalla parte dei manifestanti. "Ci troviamo di fronte a una vera e propria rivoluzione - ha spiegato - tutti i soldati devono passare con il popolo senza aspettare oltre. Cosa ancora dobbiamo attendere, che ci uccidano tutti? Sono convinto che ci siano le condizioni per vincere questa battaglia contro il regime di Muammar Gheddafi".
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''Quella su Gheddafi e' una bugia. Io non ho mai detto che il leader libico doveva essere assolto e che, eventualmente, poteva venire qui alle Tremiti. Figuriamoci se veniva da noi''. Il sindaco delle Isole Tremiti, Giuseppe Calabrese, nega che dietro le dimissioni di sette dei 12 consiglieri comunali ci siano le sue dichiarazioni pro-Gheddafi con le quali il primo cittadino, in un'intervista, avrebbe inviato il rais libico a raggiungere l'arcipelago delle Diomedee per il suo esilio. ''Quello che e' in gioco – spiega Calabrese - sono interessi privati di alcune persone interessate all'accaparramento di terreni per il Piano regolatore, altro che Gheddafi. Mi mandano via perche' io non ho voluto piegarmi alle loro richieste''.
Le dimissioni sono state depositate ieri nello studio di un notaio di Termoli (Campobasso) da quattro consiglieri di maggioranza e tre di minoranza e porteranno allo scioglimento dell'assise comunale guidata da Calabrese, che e' amico di Gheddafi tanto da averlo incontrato, in passato, per quattro volte, tre delle quali in forma privata. L'amicizia tra Calabrese e Gheddafi e' nata soprattutto da quando il sindaco ha fatto costruire sull'isola di San Nicola un sacrario libico, inaugurato il 26 ottobre 2006, in cui sono seppelliti i resti di circa 400 libici morti li' per un'epidemia di tifo petecchiale dopo lo sbarco tra il 1911 e il 1912.

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